“Il titolo è emblematico: la giovinezza è vista come qualcosa di sofferto, che passa via quasi come una liberazione lasciando spazio alla dolorosa consapevolezza della crescita interiore. Come afferma Raymond Radiguet, citato dall’autore in epigrafe alla silloge: “E, di tutte le stagioni, la primavera, ancorché la più conveniente, è la più difficile da portare”. Il giovane, pertanto, cresce nell’ombra riflettendo sulle contraddizioni del proprio sentire.
Stiamo parlando de “Il trapasso della giovinezza”, raccolta poetica di Alessandro Scotto di Minico, edita in questi giorni da Controcorrente nella collana “Poesie” (pagine 106; euro 12,00). Una serie di liriche in cui l’autore cerca di descrivere la forza interiore che abita dentro di sé, che lo fa stare a galla durante la tempesta ma che rischia anche di travolgerlo.
La vita è un delicato equilibrio tra il proprio sentire e volere e ciò che abbiamo dentro di noi, quelle passioni contraddittorie e violente che portano al contempo gioia e tribolazione.
La poesia insomma è uno strumento introspettivo per trovare attraverso la disamina del proprio sentire le ragioni del proprio essere e dello stare al mondo. Anche un raggio di sole che colpisce la mano offre all’autore una riflessione sul tempo che passa e che lascia il segno in un reticolato di vie sul palmo della mano.
L’esistenza si può presentare nei suoi caratteri ripetitivi e monotoni, in cui prevale la noia o vi si insinua la depressione. Allora nasce la contraddizione dei sentimenti smarriti e confusi che si provano dentro e l’esigenza di nasconderli all’esterno.
Il giovane Alessandro Scotto di Minico non ha paura di scandagliare la tristezza provata, anzi ne fa l’ispirazione di cui si nutrono i suoi versi, la trasforma in immagini poetiche che rimangono impresse nella mente del lettore perché estreme e impregnate di una sofferenza vissuta nel corpo e nell’anima. Forti sono le sensazioni fisiche descritte, che riportano ad un inevitabile malessere interiore, a una sensazione di angoscia che lo pervade come veleno che si insinua nelle viscere. Questo sentirsi ammalati nel profondo è come se condensasse nelle sue immagini estreme tutto il dolore interiore che l’essere umano è capace di provare e nel contempo di guardare anche con occhio distaccato e lucidamente critico, una volta superati gli affanni. In queste forti e vissute esperienze di vita si fa strada l’amore, quello forte, “che scioglie le membra”, citando Saffo. Attimi vissuti in piena ebbrezza che in un solo colpo spazzano via la routine monotona dell’esistenza. Appare un’immagine evanescente della donna, perlacea, lunare. Una presenza non presenza che non si lascia afferrare ma che è in grado quasi di portare alla follia.
Il linguaggio di queste liriche è elevato, a tratti aulico, e denota una profonda conoscenza del linguaggio poetico della tradizione lirica nostrana. Un linguaggio fatto proprio ed evidentemente maturato nel tempo a seguito di interesse personale e di ampie letture.”