Champions: sfortuna, ingiustizia e ingenuità, tre parole per spiegare l’uscita del Napoli

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NAPOLI – Sfortuna, ingiustizia, ingenuità. Sono racchiuse in queste tre parole le motivazioni dell’uscita dalla Champions contro il Milan. Sfortuna: la pausa delle nazionali ci ha restituito un Napoli fiacco e senza un calciatore fondamentale come Osimhen. Gli infortuni dopo 30 minuti di gioco di Matteo Politano e Mario Rui rientrano sempre nella sfera della “sfiga” che non è mai mancata nei confronti europei con il Milan. Ingiustizia: i due arbitraggi sono ciò che di peggio si è visto nel calcio. All’andata due espulsioni ingiuste ed arbitraggio a senso unico che ovviamente ha pregiudicato anche il match di ritorno, perchè non avere a disposizione Kim ed Anguissa non è proprio una formalità, alla fine hanno pesato moltissimo. Ieri è accaduto anche peggio, con un rigore sacrosanto sullo 0-0 non assegnato da quello che viene definito il miglior arbitro del mondo. Tutti dicono che fosse rigore, Pioli fa finta di niente in conferenza stampa e l’arbitro migliore al mondo, guarda caso proprio con il Napoli si è trasformato nel peggiore. E come si dice in questi casi, a pensar male spesso ci si azzecca. Non parliamo di complotto, ma come ha detto chiaramente Spalletti ieri sera in conferenza stampa, il blasone del Milan ha pesato psicologicamente sugli arbitraggi. Noi diciamo che bisogna aggiungere anche le frecciate del presidente del Napoli all’indirizzo dell’Uefa potrebbero aver avuto un certo peso. Ingenuità: non si possono prendere 6 goal in tre partite tutte allo stesso modo. E anche non tenendo conto della partita di campionato che non ha avuto storia per il Napoli e che meriterebbe un’analisi del tutto diversa, sia a Milano che nel match casalingo di ieri sera si dovevano evitare quei goal in contropiede. Bastava un fallo tattico a centrocampo per bloccare Leao che è arrivato comodamente in area del Napoli servendo a Giroud la palla dello 0-1 che avrebbe segnato chiunque davanti alla porta. In questo caso sbagliare è umano, ma perseverare è davvero diabolico.

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