Salute&Benessere

Aldo Bova, la vita è un bene indisponibile che non possiamo sopprimere

NAPOLI – “La vita è un Bene indisponibile. La Vita è un Bene meraviglioso indisponibile. La Vita è un Dono, avuto per noi cristiani dal Signore, Creatore del Mondo, in termini pienamente laici… dalla natura. E’ un Bene, di cui non possiamo disporre a piacimento” – così il professore Aldo Bova (nella foto), presidente nazionale del Forum delle associazioni sociosanitarie. “Noi – ha dichiarato ancora l’illustre clinico impegnato da sempre sul fronte sociale ed umano – possiamo agire per creare buone condizioni per la vita, ma non possiamo sopprimerla. La Vita ha un carattere di dignità. Nella società efficientistica, in cui viviamo una persona è valida ed ha una vita degna, quando sta bene in salute, è autonoma, lavora, produce, è ben relazionata, guadagna. Ha una vita non degna di essere vissuta, quando si ammala, non è più totalmente autonoma, diventa un peso economico, familiare, sociale. Noi non siamo d’accordo. La vita ha una sua dignità sempre per motivi intrinseci nella essenza della vita e non in relazione alla capacità operativa, autogestionale e relazionale della persona in causa. Tutte le vite hanno il diritto di essere apprezzate, comprese, sostenute dalla comunità”. “La carta dei diritti fondamentali dell’unione europea – ha continuato il professore Bova – recita : «Art. 1 (Dignità umana) La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata. «Art. 2 (Diritto alla vita). Ogni persona ha diritto alla vita (non dice) Ha diritto alla morte. Noi riteniamo validissime queste considerazioni e desideriamo lavorare, affinché siano riconosciute valide ed apprezzate. Una comunità civile deve riconoscere e vivere questi valori e queste considerazioni. Con piacere segnalo ciò che rispose la grande antropologa Margaret Mead ( 1901>1978. Stati Uniti) ad uno studente che le chiese quale fosse il primo segno di civiltà in una Cultura. Lo studente riteneva che Mead parlasse di ami, pentole di terracotta o macine di pietra. Non fu così. Mead disse che il primo segno di Civiltà in una Cultura antica e primordiale è stato un femore rotto e poi guarito. Mead spiegò che nel mondo primordiale, chi si rompeva una gamba, moriva. Una persona con frattura di collo femore aveva bisogno di essere tutelata, doveva essere aiutata per mangiare e bere fino a consolidazione dell’osso. Quindi in termini antropologici una comunità diviene civile, quando aiuta gli abbisognevoli, i fragili, quelli che nella società efficientista vengono ritenuti scarti da eliminare”. “Detto questo – ha detto ancora il presidente Bova – fondato su valutazioni antropologiche , un popolo civile si prende cura dei fragili, dei deboli, dei sofferenti, degli ammalati, di chi non è autonomo e da questo atteggiamento scaturiscono programmi sociali, di assistenza, di amore importanti. A proposito di autodeterminazione va segnalato che ognuno nasce, vive e muore in relazione e non può ritenere di essere autonomo nella decisione di interrompere i suoi giorni. Si nasce grazie all’Amore fra madre e padre, ci si sviluppa nell’utero della mamma, ci si sviluppa grazie al cibo ed all’assistenza dei genitori e della famiglia, si sviluppa la conoscenza grazie a maestri, si vive da ragazzi con coetanei e si lavora nel sociale e grazie agli altri. Interrompere la propria vita non è possibile con una decisione del tutto autonoma, avulsa dal contesto relazionale in cui si è vissuto e si vive. Siamo fermamente contrari alle determinazioni legislative che possano ammettere l’eutanasia ed a condizioni che possano depenalizzare il suicidio assistito. Siamo pienamente contrari all’idea che il medico o la struttura sanitaria in senso lato possano procurare la fine dell’esistenza. Naturalmente, va considerata la necessità di valutare la morte come naturale termine della vita, da vivere con serenità in termini familiari, con gli affetti domiciliari, quando possibile, e non come una vicenda innaturale da non vivere comunitariamente”. “Riteniamo – ha concluso il professore Bova – certamente che vada escluso assolutamente l’accanimento terapeutico, che è inopportuno, segno di incultura umana e medica e finanche segno di cattiveria. Cosa chiediamo? Che, attuando la legge 38/2010, si sviluppino sempre più la terapia del dolore, le cure palliative, la costruzione di hospice, la terapia del dolore a domicilio, l’assistenza delle persone al termine della vita a domicilio. Che si migliori la preparazione universitaria per i palliativisti, che devono essere artisti nell’accompagnare un paziente nella fase terminale, sapendo favorire finanche il dialogo con la famiglia. Si sviluppi la cultura del sostegno psicologico, sociale, economico alle famiglie coinvolte nell’accompagnamento di una persona terminale. Riteniamo che bisogna fare cultura della dignità della vita. Fare cultura del valore dell’Amore, che è ciò che può aiutare ad accompagnare al meglio una persona verso la fine”.

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