OTTAVIANO – Il saggio letterario “Leopardi a Napoli, del prof. Carmine Cimmino, saggista e critico artistico, sarà presentato il 29 giugno a Ottaviano (NA), nella Biblioteca Comunale, con la partecipazione del prof. Biagio Simonetti, Sindaco di Ottaviano, dell’ avv. Luca Capasso, del prof. Michele Ranieri, docente di filosofia e storia, di Maria Pia Selvaggio, presidente della casa editrice 2000diciassette, che ha pubblicato l’opera.
Lo scrittore stesso ci svela il complicato e sorprendente viaggio di Leopardi per le strade di Napoli.
“I capolavori della letteratura (e di ogni altra arte) ci svelano significati nuovi, quando li rileggiamo alla luce di una conoscenza più ampia e più profonda del privato dei loro autori. Pietro Citati e Marcello DellOrta, per esempio, ci inducono a pensare con i loro libri che Leopardi sia stato il primo a sentire il mito delle due Napoli, quella che recita a mettere e quella che recita a levare. A Napoli il poeta della Ginestra capì definitivamente che ironia e immaginazione sono i pilastri della conoscenza. L incredibile elogio del vino e lelenco dei 49 piatti che il cuoco Pasquale Ignarra gli doveva preparare.”
Leopardi diceva di non amare i Napoletani, ma riconosceva la bellezza della città. In un pensiero del febbraio 1821 egli aveva scritto che la vita è una rappresentazione scenica e che per questo il mondo parla costantissimamente in una maniera, ed opera costantissimamente in unaltra. Dunque, siamo tutti recitanti, non ci sono spettatori, il vano linguaggio del mondo non inganna che i fanciulli e gli stolti e perciò la rappresentazione è divenuta cosa compiutamente inetta e noiosa. L Ottocento avrebbe compiuto unazione veramente degna se avesse conciliato per la prima volta al mondo i detti e i fatti, e, nel concreto, essendo i fatti immutabili, avesse deciso di mutare i detti e chiamare le cose con i nomi loro. In una splendida pagina del libro su Leopardi pubblicato nel 2010 Pietro Citati segue il poeta nel suo vagabondaggio quotidiano per il centro storico di Napoli, da una bottega antiquaria colma di vecchi libri al caffè delle Due Sicilie, in via Toledo, dove assaporava una granita o un sorbetto; dalla pasticceria di Pintauro, in via Santa Brigida, con il suo spettacolo di frolle e di sfogliatelle, al caffè di Vito Pinto, al largo della Carità, con i tarallini zuccherati che avevano procurato a Vito Pinto il titolo di barone. Cerano giorni in cui il poeta scendeva alla Riviera di Chiaia e si fermava a un banco del lotto dove o ranavuottolo — Leopardi aveva la doppia gobba- circondato da una venerazione superstiziosa dava i numeri ai giocatori. Capitava che i giovani lo insultassero: e una volta Antonio Ranieri, per portar via lamico dal caffè delle Due Sicilie, rischiò di essere coinvolto in una rissa. E infine — la penna di Citati vola alto — cera Mergellina, coi suoi banchi pieni di alici, di triglie, di ostriche, di ricci marini, di dattili, di cozze, di cannolicchi, di frutti di mare. Per Leopardi era un nuovo piacere, che non aveva provato né a Bologna, né a Pisa, né a Firenze: camminare fino a perdersi tra la folla, divenuto anche lui, come tutti gli altri, un corpo, un colore, un suono, un gelato, un riccio.. Dunque, i Napoletani riuscivano a conquistarlo, a trascinarlo nella recita, a costringerlo a domandarsi quale fosse la vera natura di questo popolo. Leopardi fu uno studioso delle virtù del vino: e ciò che sul vino egli ha scritto nello Zibaldone suscita un lungo moto di sorpresa in coloro che hanno conosciuto il poeta di Recanati solo attraverso i libri di letteratura, quelli scolastici, anche di livello alto. Dunque, scrive Leopardi, il vino è capace di suscitare nuove speranze e di dissolvere lamarezza dettata dalle tensioni dellanimo. Deve bere vino che si propone di ottenere dalle donne quei favori che si desiderano: il vino infatti dà il coraggio necessario per avviare lazione di conquista, e se questa azione non raggiunge lobiettivo sperato, nel vino lo sconfitto troverà un impulso alla consolazione e allallegria. Al vino non resiste nemmeno il filosofo, perché al potere del vino si arrende anche la più invecchiata e radicata filosofia. Queste riflessioni sulle virtù del vino non sono solo un omaggio che Leopardi rende a un tema assai caro ad Orazio, che egli considerava il più grande poeta di Roma, e a Marziale, al quale egli dedicò fin dai primi studi una grande attenzione. Il vino distrae e, consumato in misura eccessiva, produce dimenticanza: Lubriachezza è madre dellallegrezza, perché cagiona la dimenticanza del vero, dalla quale sola può nascere lallegrezza. (Zibaldone, 109). Leopardi irrise gli intellettuali e i patrioti napoletani, classificandoli seguaci della filosofia dei maccheroni. Presso la Biblioteca Nazionale di Napoli è conservato un documento autografo in cui il poeta elencò, forse per ricordarli a Pasquale Ignarra, il cuoco di casa Ranieri i 49 piatti preferiti: e tra questi ci sono tortellini di magro, gnocchi di latte, di semolino e di polenta, pasticcini di maccheroni, tagliolini: la buona tavola – sentenziò Leopardi — importa che sia fatta bene, perché dalla buona digestione dipende in massima parte il ben essere, il buono stato corporale, e quindi anche mentale e morale delluomo.. Incredibile don Giacomo….